LA VERA CITTA' DI GRAGNANO di N. Ruocco (06/04/2010)
Chi è originario di Gragnano, magari di mezza età, chissà quante volte passando per Piazza Trivione, avrà immaginato come appariva un tempo tutt'attorno la piazza, i palazzi, i portoni in pietra di granito, e forse provando a ricordare gli odori di una volta che si levavano dalle bancarelle, certamente vetuste, che sporgevano sul ciglio della strada, all'epoca completamente in basolato. Era questa la Gragnano, la vera Gragnano, prima del tragico terremoto del 23 novembre 1980. Una Gragnano che ahinoi non c'è più.
Notevoli sono stati infatti i danni che il sisma ha causato sul territorio: Piazza Trivione, diversi palazzi di Via Roma, Via Pasquale Nastro, Piazza Aubry, Piazza San Leone, il cuore urbanistico della nostra città completamente destinato a rimanere un ricordo, ogni tanto ravveduto in qualche vecchia fotografia. Ma era veramente impossibile provare a recupare almeno parte di questi fabbricati ora non più esistenti? Dal punto di visto strettamente urbanistico, la Gragnano pre-terremoto era quasi perfetta, con i suoi numerosi palazzi della seconda metà dell'800, quasi tutti di 2 o massimo 3 piani, con portone centrale e balcone maestro, magari qua e là con decorazioni in stile liberty e due piperni all'esterno, oggi di assoluta rarità. Suggestive botteghe che davano sulla strada rendevano ancor più affascinante la vista. Era tutto fantastico [...] La dovuta ricostruzione tuttavia non è avvenuta come forse ci si sarebbe aspettato.
Molti di questi palazzi sono stati completamente abbattuti e al loro posto costruiti palazzi di 7-8 piani. Derogando alle norme in materia di pianificazione urbanistica, si è dato spazio nel periodo immediatamente successivo al terremoto, ad una politica forse più speculativa dal punto di vista economico-progettuale, anzichè un'azione amministrativa a fini conservativi e tesa al recupero strutturale del centro città status quo ante [...] Ora ci ritroviamo, proprio a causa di questa politica speculativa, con una possibilità di intervento urbanistico assolutamente pari a zero, in virtù anche di uno strumento urbanistico put (ex prg) vecchio di decenni, e tra l'altro di difficile definizione ex novo, per diversi motivi. L'ipotesi di recuperare conservativamente la Gragnano di un tempo avrebbe forse apportato benefici minori nel breve, ma decisamente maggiori sia economicamente, sia dal punto di vista di indotto commerciale e turistico, nondimeno di mera vivibilità, nel medio termine. Tralasciando ulteriori rilievi che rimando magari in successiva argomentazione, sta di fatto, che la vecchia Gragnano, la vera Gragnano, tutt'oggi non ci rimane che ammirarla in qualche foto. Non con poco rammarico.
"RIPORTIAMO A GRAGNANO LA LAPIDE DI PUBLIO GRANIO!" di N. Ruocco
"Hospes (persi)ste nisi moletum sit perspice, monumentu(m) (qu)od sibi. (Pu)bliys. Publi. Granius sibi su(isq)ue vivos fecit. Evhodus turarius. Salve vale" Trad. "O ospite, se non ti reca molestia volgi lo sguardo a (questo) monumento che Publio Granio figlio di Publio fece erigere per sè e i suoi da vivo quando esercitava con ottima fortuna il commercio di incenso. Salve, vale". E' questa la famosa lapide funeraria rinvenuta nel lontano 1931 in una casa al confine tra Gragnano e Sant'Antonio Abate; unica fonte storico-documentale a concreta testimonianza della presenza sul nostro territorio della Gens romana dei Granii, da cui la nostra città, con buona probabilità, ha tratto l'origine del suo nome. Nell'occasione di un mio incontro con l'amico Giuseppe Di Massa, storico e responsabile del centro culturale "A. M. Di Nola", si è avuto modo di discutere e scambiare vicendevolmente informazioni proprio sulla lapide in questione. Da appassionati, siamo stati entrambi vivamente colpiti dal fatto che essa non solo sia per la città di Gragnano un reperto di straordinario rilievo storico, ma come la stessa ipotesi di poterla riavere nella nostra città dopo 80anni possa rappresentare un aspetto di non poco conto. E' curioso, infatti, il percorso che ha fatto questa lapide nel corso dell'ultimo secolo. Da fonti del Prof. Francesco Di Capua (F. DI CAPUA "Contributo all'Epigrafia e alla storia dell'antica Stabia", Napoli, 1939) sappiamo per certo, come già anticipato, che questa lapide fu rinvenuta nella periferia di Gragnano, durante scavi per restauri in una abitazione agreste di un certo Carmine Sullo. Apparve subito chiara l'importanza del ritrovamento. Successivamente sappiamo essere stata acquistata da un collezionista privato napoletano, un certo Sig. Fienga. Nel dopoguerra a causa di un fallimento della sua attività, Fienga si ritrovò a veder sequestrati i suoi beni, parte dei quali, quelli di interesse archeologico, furono acquistati dalla Regione Campania e sottoposti alla cura della Sovrintendenza. Questi reperti furono inventariati frettolosamente e portati al Museo archeologico di Paestum. In realtà risulteranno non essere stati mai esposti, nè tanto meno restaurati, permanendo chiusi in casse di legno negli scantinati del museo. Lo stesso Di Massa, in diverse occasioni, ha fatto richiesta di poter accedere in questi locali alla ricerca del reperto. Richieste sempre negate, motivando che il reperto in questione non è tutt'oggi più presente. La verità dei fatti è che la lapide, come dimostra la foto in alto, già negli anni '30 era evidentemente logorata e spaccata in due metà, e quasi certamente sarà ancora celata in una di quelle casse abbandonate sotto i locali del Museo di Paestum data la superficialità con la quale la stessa Sovrintendenza ha trattato questi reperti. Per la città di Gragnano, la lapide, che ha quasi 2mila anni, a testimonianza della presenza in Gragnano della Gens Grania, potrebbe rappresentare per l'intera comunità cittadina un fattore oltre che di valore e crescita storico-culturale, ma anche di un rilievo propriamente emozionale per nulla trascurabile. La rivogliamo quindi a Gragnano!
ASSOLUTA RARITA': TITOLO DI ACQUISTO DELLA META' DEL MOLINO LO MONACO - 1851"
TITOLO DI ACQUISTO Fatto dai Signori Giovanni Michele e Giovanni Dello Iojo, della metà di Molino ad acqua detto Lo Monaco nel Vernotico Conceria nel Comune di Gragnano. Pel Prezzo di Lire 5900,00. Da Tommaso Iozzino. Pel Notaio Tommaso Lombardi il dì Primo Luglio 1851.
Così recita testualmente il frontespizio dell'atto di Acquisto di quello che era all'epoca,e forse anche oggi nella storiografia gragnanese, uno dei più importanti mulini ad acqua del Vernotico, il mulino "Lo Monaco", conosciuto anche nel dialetto locale come "'o mulino d'ò monaco". Atto datato luglio 1851, assoluta rarità! Da notare come l'importo per la metà del titolarità di tale mulino era abbastanza notevole per l'epoca, pari a ben lire 5.900. Con l'introduzione dell'Ufficio del Catasto l'atto fu regolamente registrato con le sue volture in data 19 maggio 1879, con pagamento di diritti pari a lire 2,25. Siamo davanti ad una documentazione di straordinaria testimonianza per il suo rilievo storico-privatistico. (N. Ruocco)
TITOLO AZIONARIO EMESSO DA UN PASTIFICIO GRAGNANESE di N. Ruocco
Diversi tra i maggiori Pastifici gragnanesi di inizio '900 nel pieno sviluppo industriale e commerciale dell'arte bianca emisero titoli azionari pervenendo Società con capitale diviso in azioni. Capofila di tutti fu il Pastificio A. Garofalo, il quale, come testimonia il raro documento a lato, nel gennaio 1903 rilasciò azioni pari ad un capitale (enorme) di 400.000 lire interamente versato e diviso in 4000 azioni del valore di 100 lire cadauna. Il documento a lato, nello specifico, riguarda dei cedolini di azioni (visibili in basso) pari a 10 azioni da 1.000 lire ciascuna. Ogni singola cedola annessa al documento, riguardava ogni singolo dividendo nei successivi anni dall'emissione. I Pastifici gragnanesi, furono non solo maestri nella produzione di pasta, ma anche assoluti precurosi nel settore finanziario. (N. Ruocco)
Schema delle infeudazioni del "castellum" di Gragnano
tratto da N. RUOCCO "Gragnan..è" I Capitolo
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L'ANNOSA QUESTIONE STORICA DELLE ACQUE GRAGNANESI TRA TITOLARITA' PRIVATA E INFLUENZA POLITICA di N. Ruocco
La titolarità e l'utilizzo delle acque gragnanesi è oggetto di vicende e controversie storiche di non poco rilievo; vicende che sono state direttamente funzionali allo sviluppo economico-strutturale dell'arte bianca a Gragnano. Le due sorgenti locali, Forma e Imbuto, erano proprietà fin dal 1616 della nobile famiglia dei Quiroga, che le detenne, molto presumibilmente assieme a diversi mulini per la macina lungo la valle, fin all'inizio del 1800. Precisamente fino al 1815, quando furono vendute al Municipio di Gragnano. Occore dire, che tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800 lungo la Valle dei Mulini si esercitava una attività di sola molitoria, e l'acqua era pertanto necessaria al solo funzionamento dei circa venti, trenta mulini operanti al periodo. Nella seconda metà del 19imo secolo, soprattutto dopo la liberalizzazione del "jus di fare e vendere maccaroni" (a partire dalla delibera di Municipalità 20 agosto 1805) e con i successivi interventi tesi a regolamentare l'esercizio della produzione e vendita di paste lunghe, gradualmente si svilupparono in città diversi opifici familiari e fabbriche. In questa prospettiva, l'acqua delle sorgenti divenne elemento di necessità non più dei soli mulini, ma rivolta ad un utilizzo strategico per le fabbriche che di lì a breve stavano per accrescere nel territorio. Fu questa la motivazione che indusse la marchesa Quiroga, con la compiacenza forse di qualche amministratore cittadino, a riacquistare le acque nel 1847. Dopo pochi anni, considerato l'evidente status di monopolio privato sull'utilizzo delle acque gragnanesi, il Municipio decise di riacquistarne la titolarità. Ci vollero però circa 20 anni di trattative affinchè il Municipio riacquistasse definitivamente le sorgenti nel 1894 nel pieno boom industriale dei pastifici gragnanesi. Questo sia per la ragione poc'anzi ascritta, sia per predisporre future opere tendenti all'uso dell'acqua potabile per i cittadini. Tuttavia le proteste di questi ultimi furono notevoli: il Comune infatti, tralasciando momentaneamente le opere per la potabilità cittadina, decise di concedere l'utilizzo gratuito dell'acqua ai Pastifici, mentre i cittadini erano costretti a servirsi ancora delle fontane pubbliche in strada. Questa scelta, sottolineata da più di uno storico locale, potrebbe trovare la sua ragion d'essere nel tentativo di combattere in quegli anni l'ascesa industriale anch'essa evidente dei diretti concorrenti gragnanesi rappresentati dai Pastifici di Torre Annunziata. Di Acquedotto comunque si comincerà a parlare solo nei primi anni del 1900. Le vicende infatti dal momento dell'acquisto da parte del Municipio di Gragnano, coinvolsero nel breve la persona del Comm. Alfonso Garofalo, proprietario dell'omonimo Pastificio e all'epoca assessore comunale. Cominciarono nuove polemiche e strategie politiche.
Dopo pochi mesi la protesta fu introdotto dal Comune il pagamento di un dazio per l'utilizzo industriale dell'acqua ma a cifre quasi irrisorie: lo stesso Pastificio Garofalo, ad esempio, utilizzando circa 1400 metri cubi di acqua al giorno, pagava il modico prezzo per quel tempo di 2.000 lire annue, cioè 0,0039 lire a metro cubo. Quando l'opinione cittadina, come prevedibile, cominciò nuovamente a farsi sentire, lo stesso Alfonso Garofalo, per gestire complessivamente la distribuzione delle acque, facendo leva anche sull'opinione pubblica, propose con l'aiuto di una sua persona di fiducia la costituzione di una ditta chiamata "Impresa cittadina", inneggiando alla necessità di far rimanere le acque nel solo territorio cittadino. Obiettivo di questa società era però quello di arrivare ad aggiudicarsi la gestione complessiva. Pochi giorni la costituzione, il 16 luglio 1898 fu affisso per le strade di Gragnano il manifesto di cui a lato. "Impresa cittadina" però nascque e morì al tempo stesso con questo manifesto, una volta scoperto chi realmente stava dietro a questa iniziativa. Nel frattempo la marchesa Quiroga, pur avendo venduto le sorgenti, incassava ex contractu dal Comune, interessi marginali sull'acqua pari a circa 18.000 lire annue, e al tempo stesso, degli eredi dei Dello Joio e della famiglia Sorrentino si contendevano in una disputa al tribunale la comproprietà della sorgente Imbuto. Insomma era un clima di grande caos ed incertezza amministrativa, dove a farne le spese erano i poveri cittadini gragnanesi.
Nel 1899 fu avanzata e avallata con la spinta politica del Garofalo, una proposta a nome dell'Ing. Gaetano Monaco di gestione dell'appalto delle acque gragnanesi. Avvenne la cd. "concessione Monaco". A tal riguardo, gli oppositori politici del Garofalo insorsero fermemente, ricorrendo al Prefetto ed alla Giunta Provinciale Amministrativa, e redigendo un apposito dossier intitolato "Ragioni, atti e documenti contro la progettata concessione Monaco" datato 5 ottobre 1900 e firmato dal consigliere comunale Luigi Savoia. Sta di fatto che pochi anni dopo anche questa concessione fu cessata, ritornando la gestione delle acque, status quo ante, all'ente comunale. Va da sè, che questa vicenda, molto poco trattata dalla storiografia gragnanese, determinò non poco l'andamento economico dei pastifici gragnanesi tra la fine dell'800 e l'inizio del'900, e incise al tempo stesso sull'evoluzione strutturale della stessa Gragnano. Anche ai giorni nostri, soprattutto in quest'ultimo periodo, si ritorna a discutere sulla titolarità della gestione delle acque, oggi in mano ad una Società di compartecipazione privata-pubblica. Corsi e ricorsi storici. (N. Ruocco)
I PASTIFICI DI INIZIO '900: POLITICHE DI MARKETING CON 100 ANNI DI ANTICIPO! di N. Ruocco
La passione gragnanese per le antiche etichette della pasta è cosa ben nota, come è altrettanto nota la bellezza delle etichette dei Pastifici gragnanesi di fine ottocento, inizio novecento. Pochi sanno tuttavia che i Pastifici Gragnanesi furono assoluti precursori in materia di tutela di quello che noi oggi tecnicamente chiamiamo "commercial brand" (marchio di mercato). Anzitutto, come è possibile notare dalle foto in alto, numerose erano le etichette, soprattutto dei maggiori Pastifici (Emidio Di Nola, Garofalo, D'Apuzzo ecc.) che detenevano il loro marchio in forma registrata, cosa che burocraticamente doveva al tempo avvenire previa una documentazione redatta in rogito notarile e presentata alla Camera del Commercio e dei Brevetti. Questo dato, che oggi appare assolutamente come formale procedura per quasi tutti i marchi, risultava essere decisamente innovativo e fors'anche lungimirante circa ben 100 anni fa. In un periodo nel quale vi era la cultura più del brevetto di una idea, di una macchina o di una particolare realizzazione, che di un deposito registrato di un marchio. Rappresentava, ed è giusto darne il meritato risalto, una importante politica di valorizzazione del prodotto che sappiamo aver avuto uno straordinario rilievo nel mercato del tempo; insomma una concreto esempio di marketing applicato. Ma non finisce qua. L'eccellenza del prodotto era determinata anche da una serie di peculiarità di carattere prettamente commerciale che ne accrescevano ulteriormente il rilievo in termini di visibility rating (livello di visibilità). Con ciò mi riferisco a piccoli particolari fino ad ora poco messi in risalto dalla storiografia gragnanese.
Faccio riferimento ad alcuni dettagli emersi guardando con attenzione alcune etichette di pasta. Diversi Pastifici riportavano su di esse annotazioni di Premiazioni con medaglie d'oro a diversi GranPremi ed Esposizioni. E' il caso del Pastificio Natale Russo "GranPremio e Medaglia d'Oro all'esposizione di Napoli 1906", Pastificio Francesco D'Apuzzo "Medaglia d'Oro 1878", Pastificio Gaetano D'Apuzzo "Medaglia d'Oro Parigi 1878", e "Medaglia d'Argento Napoli 1891" e altri ancora. Da questo piccolo particolare rileviamo che, non solo vi era una concreta politica di tutela del prodotto, ma nondimeno si cercava di portare avanti un processo di internazionalizzazione dello stesso mediate esposizioni di settore (quelle che noi oggi chiamiamo comunemente expò) e concorsi fieristici. Tuttavia, occorre dire per onor del vero, che non abbiamo in nostro possesso notizie storiche dettagliate su tali avvenimenti e concorsi, ma sicuramente possiamo affermare che riguardarono le più importanti industrie del periodo, e che ebbero luogo maggiormente in Francia. Resta beninteso, che anche queste partecipazioni concorsuali dei Pastifici gragnanesi rappresentarono un ottimo espediente di promozione della già ben nota Pasta di Gragnano in Italia e nel mondo. Gli avvenimenti fieristici, quasi certamente, rappresentarono inoltre momenti di innovamento tecnologico e aggiornamento delle proprie strutture e macchinari adoperati. Nè è comprova il fatto che proprio a Gragnano, verso il 1910/1915 furono introdotti macchinari innovativi per l'epoca (la cd. Brabanti). Altra piccola curiosità: quasi tutte le etichette della pasta di Gragnano recavano raffigurazioni di una o più medaglie d'oro dedicate al Re Vittorio Emanuele ed alla Casa Savoia. (N. Ruocco)
CURIOSITA'.. FOTOGRAFICA! di N. Ruocco
Sfogliando l'archivio in mio possesso di antiche foto gragnanesi, la mia attenzione è stata attirata su alcune fotografie scattate nello stesso istante e nel medesimo luogo, ma che avevano figure diverse. E' il caso questo in particolare di due fotografie che ritraggono due luoghi differenti: la prima, che è questa a lato, istantanea del Past. E. DiNola; una seconda è quella che ritrae Via P. Nastro verso il senso opposto alla marcia (foto in basso). Riferendoci alla prima foto, possiamo notare guardando le due immagini presenti che l'oggetto fotografato, vale a dire il Pastificio E. DiNola e lo stabile adiacente, sono esattamente eguali in entrambe le foto; come sono uguali anche nella loro posizione le 5-6 persone sul ciglio della strada. Ciò vuol dire che la foto è esattamente la stessa. Ma allora, cosa ci fa quella carrozza in strada nella seconda foto?
E' la medesima cosa che accade nell'altra immagine sopra menzionata: immagine come detto che ritrae Via P. Nastro. In una vi è una figura maschile sulla destra che cammina lungo la strada, e in un'altra immagine, praticamente identica in ogni dettaglio alla prima, compare una seconda figura femminile. Ebbene, o siamo davanti al raro e alquanto bizzarro caso di due foto scattate in attimi poco distanti ma con cambiamenti repentini (tipo l'arrivo della carrozza, o il sopraggiungere di una nuova persona) oppure, e credo sia questa la tesi veritiera, le due foto sono state oggetto di una piccola aggiunta grafica da parte di qualche fotografo burlone circa 15/20 anni fa, essendo l'ultima ristampa delle foto in questione risalente a quel periodo. Occorre dire però, che le tecnologie del tempo difficilmente permettevano una simile cosa. Insomma, siamo dinanzi ad una vera e propria curiosa stranezza! (N. Ruocco)